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SIAMO SIMILI MA NON UGUALI

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Tra il 1922 e il 1933 l’Europa venne sconvolta dall’avvento al potere di due regimi che avrebbero segnato tragicamente il XX secolo: il regime fascista in Italia e quello nazista in Germania.

Portatori di due ideologie che intendevano ricreare, il primo un “nuovo italiano” e il secondo una “razza ariana” purificata attraverso lo sterminio di tutti gli elementi ritenuti “inutili”, “inadatti alla vita” o estranei al popolo tedesco. Queste folli ideologie politiche sconvolsero il panorama sociale europeo. In particolar modo, in Germania il delirio nazista iniziò fin da subito la liquidazione sistematica di tutti gli elementi considerati “diversi” e che minacciavano la purezza della “razza ariana”. Milioni di persone, in prevalenza ebrei, ma anche zingari, Testimoni di Geova, atei, oppositori politici, portatori di handicap fisici e mentali, prostitute ed omosessuali, cominciarono una lunga marcia che li condusse nei campi di concentramento e di sterminio.

A quell’epoca le cose andavano così: nelle migliori delle ipotesi si finiva confinati, ai margini della società, oltre il perimetro della comunità civile perché si avevano idee politiche diverse o magari per il proprio orientamento sessuale che non coincidevano con quelle previste e sostenute dal regime.

Ci sono voluti alcuni decenni e la nascita e il consolidarsi delle democrazie in Europa per definire quei princìpi di convivenza civile che stabiliscono che una comunità è fatta anche da persone che la pensano in modo diverso tra loro, che hanno fedi diverse, magari colori della pelle diversi da quello “ariano” e perfino orientamenti sessuali differenti. Eppure, ci sono persone che ancora oggi faticano ad adattarsi all’idea di tolleranza e accoglienza, che dovrebbero costituire i pilastri su cui fondare una comunità di simili. La tendenza che ogni tanto rispunta fuori e si fa fatica a scalfire, invece, è quella di pensare che la comunità in cui viviamo debba essere per forza una comunità di uguali. A contribuire ad aumentare la confusione è di certo anche la violenza del web, un teatro di guerra dove si ringhiano insulti rabbiosi e si armano sanguinose aggressioni contro chiunque abbia gusti, idee o tendenze che si discostano da quelle della massa.

La tendenza a credere che chiunque non la pensi come la penso io vada indotto a cambiare idea, a sputi virtuali o legnate materiali, è in crescita in questo Paese. Purtroppo sta diventando un fenomeno dilagante il bullismo omofobico; e le aggressioni tra ragazzi, caratterizzate da insulti e violenze, sono ormai gratuite. Tutto questo inevitabilmente si ripercuote su chi subisce prese in giro, calci, emarginazione…

Le conseguenze del bullismo omofobico sulle vittime sono purtroppo molte e gravi. Essere vittima di atti di bullismo compromette lo studio, il rendimento scolastico, il benessere psicofisico. Crea ansia, frustrazione, sfiducia in sé stessi e negli altri.

Qualche anno fa, il re di Norvegia Harald V, parlando alla folla riunita in un parco a Oslo, durante una festa nazionale, tenne un discorso che diventò virale: «Siamo tutti norvegesi: ragazze che amano altre ragazze, ragazzi che amano altri ragazzi, e ragazze e ragazzi che si amano tra loro… i norvegesi credono in Dio, in Allah, in tutto o in nulla». Il discorso fatto da re Harald, era una specie di manifesto della libertà di pensiero, della libertà di parola, di scelta… come si fa a non condividerlo?

Davanti alla violenza a cui assistiamo viene quasi voglia di chiedere asilo a Oslo… ma poi, a ben riflettere, per quale motivo la dovremmo dare vinta a uno che per insultare un altro gli dice “frocio” o “gay”? Così com’è capitato al dirigente scolastico del Liceo Oriani di Ravenna che si è ritrovato destinatario della scritta “il preside è gay” comparsa sul muro dell’istituto. Episodi simili sono sempre accaduti, ma la vicenda ha riscosso una particolare attenzione da parte del web perché il preside ha deciso di lasciare la scritta al suo posto come “pietra d’inciampo” per l’intelligenza umana. Dal punto di vista culturale il lavoro c’è, ma talvolta non è sufficiente, come si vede, ed è per questo che la scuola, essendo il luogo in cui si cresce e ci si forma come cittadini e cittadine, non può abdicare alla sua responsabilità di formare gli studenti alla cultura del rispetto. Perché il fatto è che viviamo in un paese meraviglioso, nel quale però purtroppo persistono sacche di ignoranza. E proprio come diceva Victor Hugo: “L’unico pericolo sociale è l’ignoranza”.

 

Federica Petrarca